Marchiati: la storia della marcatura in Italia

Marchiati: la storia della marcatura in Italia

Presentato nel nostro territorio Marchiati, volume che racconta la storia del tatuaggio in Italia

un segno indelebile sulla pelle e nel panorama letterario italiano. Un’opera fresca, scorrevole e dettagliata, un testo che non deve passare inosservato.

Una brillante e giovane artista, Cecilia De Laurentiis, pochi giorni fa, ha scelto il nostro territorio per presentare il suo interessantissimo saggio: Marchiati – breve storia del tatuaggio in Italia (Momo edizioni – febbraio 2021).
Un lavoro che dimostra essere esattamente il contrario di un’opera di nicchia, svelandosi un saggio che racconta una storia ai molti sconosciuta, ben articolato e basato su un minuzioso e attento lavoro di ricerca, pur mantenendo un tono fluido e di piacevole lettura.
L’autrice, storica dell’arte e tatuatrice, affronta in chiave accademica la storia del tatuaggio, così come nasce nel nostro Paese: la marcatura. Dalla preistoria all’ epoca fascista fino ai nostri giorni, per raccontare come, quello che fino a poco tempo fa era considerato un segno di trasgressione, oggi sia più che mai espressione creativa e artistica.

Cecilia, da dove nasce una passione che è diventata un mestiere?

La passione per il tatuaggio è nata nel periodo universitario, frequentavo il corso di Storia dell’Arte all’università La Sapienza di Roma e nel mio gruppo di amici iniziò a divampare questa mania di tatuarsi. Inizialmente ero vagamente scettica, se non del tutto terrorizzata a riguardo! Questo finché un giorno presi in mano la prima macchinetta e tutti i timori lasciarono il posto ad un profondo amore.
Ero estremamente ignorante ed estranea a questo mondo, ma volevo saperne di più; perciò, iniziai ad interessarmi ai motivi e alla storia del tatuaggio. Lo studio della materia mi apporta costanti ispirazioni e arricchisce il mio mestiere di tatuatrice.

Un titolo forte “Marchiati”: cosa vuole significare?

La risposta è molto semplice. Il mio saggio è incentrato sulla tipica decorazione tegumentaria italiana, ovvero la marchiatura: dalla sua nascita al suo declino, dalla preistoria fino al periodo fascista. Perciò “Marchiati” (non un imperativo, ma un aggettivo) vuole delineare la storia, le storie, fin ora taciute, di quelle persone che hanno permesso l’evoluzione di questa tradizione millenaria.
Il termine tatuaggio invece si rifà ad un luogo geografico ed un periodo storico ben preciso: alla fine del Settecento James Cook, di rientro dai suoi viaggi nelle terre dei Mari del Sud, porta con sé un giovane dalla pelle tatuata, tale Omai, che espone – per il divertimento dei bianchi – nei salotti europei e nelle fiere cittadine. Divampò una vera e propria mania per gli usi e costumi dei “primitivi”, tanto che da Tatau – parola onomatopeica con la quale si indica il rumore delle bacchette picchiettanti sulla pelle – in inglese viene coniato il termine Tattoo, in italiano tradotto con Tatuaggio. Ma l’uso della marcatura è molto più remoto, e il mio saggio è incentrato esclusivamente sulla penisola italiana.

Una storia inaspettata, un dettagliato percorso storico, vuoi farci un esempio che ritieni particolarmente significativo nell’evoluzione di questa tanto discussa pratica?

Analizzando la storia del tatuaggio in diverse epoche storiche, culture e geografie ho preso coscienza del fatto che non solo è una necessità universale, ma che tra gli uomini e le donne che ne fanno uso, ricorrono fondamentalmente due scopi: il primo è legato alla cura, evolvendosi dal più primitivo amuleto apotropaico, al tatuaggio magico-medico, fino al più recente tatuaggio “terapico” che permette di lenire un male impalpabile, psicologico, mediante l’esorcizzazione del dolore. L’altro è quella della presa di coscienza del proprio Io e dello svelamento della propria identità, spesso repressa. Questo successe ai primi cristiani che si incidevano sul derma simboli cristologici per rivendicare con forza la loro fede verso il Cristo; questo è quello che accade ancora oggi in Egitto tra i Copti che, nonostante la violenta persecuzione religiosa a cui sono soggetti, si tatuano ben visibile sul polso, una croce che è espressione coraggiosa della loro cultura.

Qual è l’obiettivo di questo lavoro e pensi di averlo raggiunto?

Il mio obiettivo è quello di riqualificare la cultura italiana del tatuaggio perché per troppo tempo è stata soggetta al giudizio negativo imposto dagli stereotipi della criminologia di stampo positivo e lombrosiano (ndr: Cesare Lombroso: medico, criminologo, antropologo 1835-1909), che ne delimita l’uso solamente tra i criminali, i degenerati e in generale tra le personalità border-line. In realtà il fenomeno è molto più ricco e complesso, fa parte a pieno titolo delle tradizioni folkloriche italiane e, come tale, deve essere trattato. Credo che ci sia ancora molto lavoro da fare per scardinare i pregiudizi dei benpensanti nei confronti del tatuaggio e nonostante tutto tenterò di portare avanti quella che per me è ormai una vera e prioria missione. Lo farò a suon di articoli dal forte impianto scientifico, conferenze e altre presentazioni di “Marchiati”.

Concludiamo con una citazione dell’autrice: “Tatuarsi è tutt’altro che un gesto banale: l’irrevocabilità dell’atto, la fuoriuscita del sangue e la presenza di dolore ci fa assaporare ritualità arcaiche e profonde”. Il motivo del grande successo degli ultimi anni può forse ascriversi al suo essere un atto estremamente concreto, materiale e corporeo. Un atto che, in un qualche modo, ha il potere di farci sentire di nuovo fisicamente presenti in una società che ormai ha traslato la propria realtà effettiva nell’immaterialità del mondo digitale. Io credo che oggi, più che mai, bisogna riconoscere al tatuaggio il suo spazio nella nostra cultura.”

Marchiati: breve storia del tatuaggio in Italia di Cecilia De Laurentiis, MOMO edizioni, Roma, Febbraio 2021.