L’ultima “battaglia civile”: regolamentare la prostituzione in Italia

L’ultima “battaglia civile”: regolamentare la prostituzione in Italia

Regolamentare la prostituzione in Italia: quali sarebbero i benefici? Ne abbiamo parlato con lo scrittore Ugo Rosenberg

La Germania, prima della pandemia, incassava ogni anno circa 3 miliardi di euro di tasse dal mercato del sesso. Oltre alle ricadute positive per le disastrate casse dello Stato italiano, quali sarebbero i benefici di una regolamentazione del fenomeno? Ugo Rosenberg ha dedicato all’argomento un volume di oltre quattrocento pagine (SEX WORK La prostituzione in Europa… oltre i pregiudizi, EDIZIONI CROCE). A lui abbiamo girato questa domanda, per avere una analisi del fenomeno al di là di ogni ipocrisia.

Quale giudizio si può dare oggi sullo smantellamento delle “case chiuse”, operato dalla legge Merlin nel 1958?

“Si trattava di un modello organizzativo per la prostituzione già in via di estinzione. Abrogate in altri paesi, tra cui in Francia nel 1946, le case di tolleranza si erano ormai ridotte in Italia a sole 560, dalle circa 10.000 presenti ad inizio ‘900.
Queste case erano a gestione statale: le prostitute, quasi esclusivamente italiane, erano schedate dalla polizia e sottoposte a controlli medici periodici. Soggette alle regole della casa, riguardo a tariffe e prestazioni, non avevano alcuna libertà nella scelta dei clienti e vivevano recluse giorno e notte in queste strutture, con orari di uscita assai limitati. Condizioni sicuramente lesive dei diritti di queste lavoratrici; vi furono quindi diverse buone ragioni a favore della loro chiusura”.

Come è cambiato da allora il fenomeno della prostituzione in Italia?

“La prostituzione in Italia segue il modello “abolizionista”. È rimasta un’attività lecita, seppur non riconosciuta come un lavoro; vietate sono tutte le forme di favoreggiamento e sfruttamento.
In pratica chi vuole esercitare legalmente la prostituzione può farlo principalmente in due modalità (peraltro le più pericolose): su strada o, individualmente, in appartamento. Persino un’assistenza reciproca tra più prostitute nella stessa abitazione sarebbe sanzionabile, in quanto l’una favorirebbe il lavoro dell’altra.
L’aumento dei flussi migratori, la libera circolazione all’interno dell’UE e lo sviluppo di internet hanno negli anni profondamente mutato il fenomeno. Attualmente il 90% delle persone che esercitano la prostituzione in Italia sono straniere; alcune sono purtroppo vittime di forme di coercizione o sfruttamento; molte sono invece coloro che esercitano questa attività in modo consapevole e autodeterminato, soddisfatte della propria scelta di vita”.

Ci sono stati interventi delle amministrazioni locali per tentare di arginare la prostituzione su strada. Quali sono stati i provvedimenti e i risultati?

“Negli ultimi trent’anni diverse amministrazioni comunali, a prescindere dal colore politico, hanno emesso ordinanze, a carattere provvisorio, per contrastare la prostituzione su strada, con multe a carico dei clienti e talora anche delle prostitute. Queste iniziative repressive non hanno raggiunto lo scopo preposto, ovvero la scomparsa o una sostanziale riduzione dell’attività su strada. Hanno però, nei periodi di attuazione, notevolmente aggravato le condizioni di chi esercitava la prostituzione in questa forma. Le prostitute si sono ritrovate a lavorare con una clientela più pericolosa, dato che le persone più ligie alle leggi avevano cessato di frequentarle; sono conseguentemente aumentati i casi di violenza ai loro danni, agevolati dal fatto che gli incontri si svolgevano in luoghi più appartati, onde evitare i controlli della polizia. A fronte di una clientela più ridotta, si è inoltre indebolita la posizione contrattuale di chi si prostituiva, nell’accettare o rifiutare un cliente, nello stabilire le prestazioni e nel pretendere una corretta profilassi”.

Quali sono in Europa i principali modelli di gestione per questo fenomeno?

“Diversi paesi hanno leggi “abolizioniste” simili alla nostra; in alcuni però il divieto di favoreggiamento è meno rigoroso e quindi la prostituzione si svolge in forma legale anche in altri ambiti, come per esempio i locali notturni.
Tra gli ulteriori modelli legislativi, due meritano una particolare attenzione.
Uno è quello “neo-proibizionista”, adottato dalla Svezia, per prima, nel 1999. Prostituirsi è lecito solo formalmente, in quanto vengono perseguiti penalmente i clienti, per l’acquisto (o la richiesta di acquisto) delle prestazioni sessuali; i risultati sono analoghi o addirittura peggiori di quelli delle ordinanze comunali in Italia. Anche Norvegia, Islanda, Irlanda, Irlanda del Nord e Francia seguono questo modello.
Differente è l’impostazione delle legislazioni “neo-regolamentariste” presenti in Germania, Austria, Olanda e Svizzera. In questi paesi la prostituzione è riconosciuta come un lavoro a tutti gli effetti, con relativi diritti e doveri (anche fiscali). Sono consentiti edifici, club e locali destinati all’esercizio della prostituzione: strutture gestite da soggetti terzi privati, muniti di licenza, dove le lavoratrici sessuali operano da libere professioniste.
Un esempio ne sono i centri benessere FKK, dotati di piscina, saune, ristorante e cinema; le prostitute usufruiscono di questi ambienti di lavoro (estremamente puliti, confortevoli e con presenza di personale di security) pagando al gestore solo il biglietto d’ingresso giornaliero al club, comprensivo di tutti i servizi sopra indicati; trattengono quindi interamente per sé quanto loro corrisposto dai clienti per le prestazioni sessuali.
Qualcosa di totalmente diverso dalle “case chiuse” italiane dell’epoca pre-Merlin”.

Lei cosa proporrebbe per l’Italia?

“Credo che sarebbe quantomai opportuno procedere ad una riforma legislativa per la prostituzione; occorre far sì che essa possa svolgersi anche in strutture ad essa dedicate, come già avviene in altri paesi. Una diretta conseguenza di questa riforma sarebbe una naturale riduzione, senza bisogno di politiche repressive, dell’attività in strada, grazie ad una maggiore pluralità di opzioni per prostitute e clienti. Questo è peraltro già accaduto in Friuli Venezia Giulia, dove la prostituzione su strada è pressoché scomparsa, per la presenza in Austria (e pure in Slovenia) di centri benessere FKK e night-club, subito dopo il confine.
Riconoscendo la prostituzione come un lavoro, vi sarebbe una maggiore tutela dei diritti umani, l’aspetto sicuramente più importante: all’interno delle strutture riconosciute, verrebbero garantite le migliori condizioni di igiene e sicurezza, nonché l’assenza di minori e di infiltrazioni malavitose.
Ripercussioni positive vi sarebbero anche in ambito economico, in termini di indotto, turismo ed entrate fiscali. Si tenga presente che la Germania, prima della pandemia, incassava ogni anno circa 3 miliardi di euro di tasse dal mercato del sesso, versati in misura prevalente proprio dai club.
Enormi sarebbero quindi i vantaggi per il nostro paese; andrebbero però superati pregiudizi e ipocrisie ancora molto diffusi”.

Per approfondire l’argomento: “Sex Work- La prostituzione in Europa… oltre i pregiudizi“, libro di Ugo Rosenberg.