Revenge porn: come difendersi dal cyber odio

Revenge porn: come difendersi dal cyber odio

Cos’è e come difendersi dal revenge porn. La parola alla giurista e criminologa

Il revenge porn, termine traducibile con “vendetta pornografica” è un fenomeno sempre più diffuso. Si tratta della pubblicazione online di immagini o di video intimi, allo scopo di ferire e umiliare la persona che ne è protagonista. Si tratta di una forma di violenza, riconosciuta come reato: ne abbiamo parlato con la giurista e criminologa Roberta Brega.

Dottoressa Brega lei si occupa di “Revenge Porn”, un crimine odioso del quale sempre più spesso si legge nelle pagine di cronaca. Che cosa è il revenge porn, come e quando appare nella vita delle persone?

La deplorevole pratica del “revenge porn” si concretizza nella vita delle vittime dal momento in cui del materiale, immagini o video, che le ritrae in atteggiamenti sessualmente espliciti, circola nel web senza il loro consenso e, dunque, a loro insaputa. Ciò che noi individuiamo come “revenge porn”, in realtà, è una condotta prevista e punita dal nostro codice penale -dal 2019 grazie il “Codice Rosso”- dal titolo “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”. Tale diffusione, dal carattere altamente pervasivo, è possibile grazie ad una delle caratteristiche più importanti del mondo “online”: la viralità.

Prima di questa intervista lei mi ha detto una frase sibillina che vorrei qui spiegasse meglio: è pressoché impossibile cancellare un contenuto una volta che viene liberato sul web. Cosa significa esattamente, il web è un territorio che si sottrae da ogni controllo giuridico?

Diciamo che la legislazione in tema “internet” si sta infoltendo negli anni ed i cc.dd. “gap normativi” stanno via via scomparendo. Tuttavia, è fondamentale tener presente che, pur esistendo il rimedio giuridico del “diritto all’oblio” –cioè il diritto ad essere “dimenticati” nel web- non possiamo mai essere certi che un dato materiale che mi coinvolge personalmente sia stato definitivamente rimosso. Pensiamo, ad esempio, ad un articolo di giornale pubblicato su un quotidiano cartaceo; la rimozione di questo è senza dubbio molto più semplice. Ma immaginiamo lo stesso articolo inserito in un contesto online. Quest’ultimo potrà essere salvato, inviato tramite canali di messaggistica istantanea, inoltrato tra privati, pubblicato su social network e la sua rimozione totale non potrà mai essere certa. Ad esempio, chi ci dice che –anche se rimosso- non salti di nuovo fuori dopo anni?

E’ vero che chiunque contribuisce a diffondere materiale appartenente alla “sfera intima” di una persona, anche con un semplice inoltro in una chat di foto o filmati ricevuti, si rende partecipe di un reato?

E’ proprio così: l’art. 612 ter del codice penale non punisce solo colui il quale realizza personalmente del materiale destinato a rimanere privato e lo pubblica, lo diffonde, lo sottrae, lo cede o lo invia ad altri. Viene punita anche la condotta del c.d. “secondo distributore” cioè colui il quale avendo ricevuto o acquisito del materiale a contenuto sessualmente esplicito si preoccupa di cederlo, inviarlo o comunque pubblicarlo, anche se non è stato materialmente lui stesso a produrlo. La ratio del secondo comma, così come prevista dal legislatore, è da ritrovare nel fatto che, contrariamente alla condotta poc’anzi citata, sarebbe considerata una best practice quella della rimozione del un video ricevuto ritraente un soggetto in atteggiamenti sessualmente espliciti, non il suo invio ad altri.

Quando la frittata è fatta per ingenuità o disattenzione cosa è necessario fare per tutelarsi?

Sicuramente denunciare. Non appena ci si rende conto di essere ritratti in un video diffuso nel web è importante, nell’immediatezza, recarsi dalle Forze dell’Ordine. Mi rendo conto che le conseguenze psicologiche subite da una vittima di “revenge porn”, sia essa di sesso maschile che di sesso femminile, siano abnormi; subentra un forte senso di vergogna, si teme il giudizio di chi ci ascolta e, talvolta, si è doppiamente vittime (della condotta di revenge porn, e dei commenti giudicanti e sprezzanti che arrivano dagli utenti) ma dobbiamo fidarci delle Forze dell’Ordine, loro possono aiutarci concretamente. Inoltre, credo fermamente nel supporto e nell’aiuto psicologico che può dare un professionista alla vittima.

Cosa si sente di raccomandare a genitori ed educatori, quale deve essere la corretta comunicazione verso un fenomeno che ha avuto spesso esisti nefasti come gesti estremi da parte delle vittime?

Non dobbiamo smettere di sensibilizzare i giovanissimi. La formazione e la sensibilizzazione dei ragazzi è la cosa più importante che possiamo fare perché ha a che fare con la prevenzione. Punire le condotte, una volta commesse, non equivale a risolvere il problema. Dunque, bene la punizione qualora la condotta si sia consumata, ma se riuscissimo a prevenirla sarebbe meglio. E questo non soltanto nei confronti delle vittime ma anche nei confronti degli autori del reato. Molte volte vengono contestate condotte come questa a ragazzi giovanissimi, financo minorenni, che increduli cadono dalle nuvole. Questo accade perché non c’è un’educazione digitale e non si conoscono le condotte realizzabili nel mondo online e offline. Ad esempio, molti ragazzi –ma anche molti adulti, aggiungerei- non sanno che anche il mero inoltro di un video contenente materiale sessualmente esplicito configura un reato, punito allo stesso modo in cui viene punita la condotta del c.d. “paziente zero”, colui il quale realizza o sottrae tale materiale. In ultima analisi, appare fondamentale che vi sia una cooperazione tra le tante figure che fanno parte della vita dei nostri giovani; mi riferisco alle famiglie, agli insegnanti, ai formatori, perché solo se il problema viene “combattuto” su più fronti è possibile assicurarne la risoluzione. Per risoluzione intendo la prevenzione, non la punizione. A quella sarebbe sempre bene non arrivarci.