Coronavirus, Gabriele De Fazio: “Tornare in Italia? Non ci penso proprio”

Coronavirus, Gabriele De Fazio: “Tornare in Italia? Non ci penso proprio”

Il ballerino professionista di Dragona viveva in Cina durante il momento peggiore dell’epidemia. Ecco la sua esperienza

“Tornare in Italia? Non ci penso proprio” sono queste le parole più taglienti di Gabriele De Fazio, il ragazzo cresciuto nel quartiere di Dragona, a Roma, e trasferitosi in Cina per seguire la sua più grande passione: la danza. Appena iniziata l’emergenza Coronavirus nel suo Paese ospitante, il ventiduenne è rimasto bloccato a Kunming e a quel punto il suo nome ha cominciato a circolare: nel mese di gennaio, quando dall’oriente ci arrivavano immagini strazianti di corsie ospedaliere intasate e di strade deserte, Gabriele aveva inviato una richiesta di aiuto attraverso un video che ha fatto il giro dei social: “le farmacie sono vuote, i supermercati sono vuoti. Cosa dobbiamo fare? Io non sto nemmeno percependo lo stipendio perché il Teatro è chiuso, cosa dobbiamo fare?”. Sì, perché Gabriele di professione fa il ballerino alla Kunming Philharmonic e ha deciso di allontanarsi dal nostro Paese ormai molti anni fa per realizzare il suo sogno lontano da una Penisola bellissima in cui però a persone come lui manca lo spazio per esprimersi.

E così, quando ancora il Coronavirus ci sembrava distante e inarrivabile, Gabriele si trovava già nell’occhio del ciclone, a 1000 km dalla regione dell’Hubei. La sua è stata una vicenda particolare: secondo le sue dichiarazioni, le autorità diplomatiche italiane non hanno provveduto a rimpatriarlo in Italia perché al di fuori della zona rossa più stringente e in seguito a numerose peripezie tra Ambasciate, Consolati e la Farnesina, la sua storia ha fatto il giro del Paese.
Adesso che dal punto di vista sanitario la situazione cinese è sotto controllo e che le autorità sono ottimiste, in Italia siamo nelle settimane del picco: le zone rosse aumentano, il Paese è bloccato ed isolato e la psicosi ha preso il sopravvento.
Ma Gabriele De Fazio dove si trova? Noi di Zeus siamo riusciti a contattarlo e lui ci ha concesso un’intervista. “In questo momento mi trovo in Serbia, ho perso il mio cellulare e il numero che ti ho dato è della mia ragazza, Teodora; lei è Serba, per questo sono venuto qui”

Perché non sei voluto tornare in Italia?

“Qui c’è la mia compagna e poi c’è il Teatro Nazionale Serbo, dove dovrei andare a lavorare subito dopo la fine di questa emergenza. Qui in Serbia hanno preso fin da subito provvedimenti, addirittura prima che in Italia: qui sono bene attrezzati e hanno chiuso le frontiere da un pezzo”.

Anche in Cina ti sono sembrati ben attrezzati per contrastare l’epidemia?

“Sicuramente sì, almeno non come in Italia. In Cina c’è un grande rispetto e un enorme senso civico: la maggior parte delle persone sono andate in quarantena volontaria, nel nostro Paese so di gente che ancora cammina per strada.”

Forse la differenza sta nel fatto che in Cina vige un regime autoritario con il quale si sono limitate facilmente le libertà personali, mentre per fortuna qui in Italia abbiamo una democrazia che dai tempi della promulgazione della Costituzione ci ha abituati a ben altre soluzioni…

“La democrazia non c’entra nulla in questo: se c’è una situazione del genere vanno prese delle misure restrittive, punto. Per non parlare della psicosi, la Cina è un Paese molto orgoglioso che sa tenere a bada le proprie paure, infatti i supermercati erano vuoti la prima settimana ma dopo sono stati subito riforniti, non c’erano file come in Italia, anzi: ti misuravano la temperatura appena entrato e se superava i 37.3 ti mandavano subito all’ospedale, senza se e senza ma.”

È il coronavirus o la psicosi che la fa da padrone in Italia?

“La psicosi, senza dubbio. È solo in Italia che succede, in Cina, a parte le prime due settimane, non era così e nemmeno qui in Serbia, dove sono ora.”

Come stanno andando le cose in Serbia? Dopo tutto sei in Europa, ti senti ancora in gabbia?

“Non mi sono mai sentito in gabbia, perché io non avevo la quarantena obbligatoria in Asia, ma rispettavo il popolo cinese e non sono uscito se non per necessità. Qui in Serbia hanno istituito un coprifuoco notturno (dalle 20 di sera alle 5 del mattino, ndr) e se hai più di 65 anni non puoi uscire di casa per tutte le 24h”.

Cosa succede se non si rispetta il coprifuoco?

“Scatta l’arresto, sono cavoli.” (A Belgrado, dall’imposizione del coprifuoco sono state uccise già 6 persone, complice il clima teso provocato da questi giorni delicati, ndr).

Adesso l’Italia ha superato di molto i decessi rispetto alla Cina. Cosa pensi delle misure che ha stabilito il Governo in proposito?

“Il punto è questo: non sono state prese le misure giuste al momento giusto. Erano tutti scettici all’inizio. Adesso l’Europa intera si ritrova indietro e la gente muore ogni giorno.”

In diverse interviste, tuo padre Roberto ha affermato che “i nostri rappresentanti in Cina hanno detto che gli italiani devono vedersela da soli perché hanno un contratto privato”. Cosa intendeva per ‘contratto privato’?

“Semplicemente che non è un contratto emesso da un ente pubblico: è per questo motivo che non potevo essere aiutato nemmeno dal consolato.”

E la Farnesina?

“Quando ci siamo rivolti alla Farnesina mi hanno detto che se ci fossero state le possibilità economiche ci avrebbe fatto un prestito. Ho ricevuto commenti orribili sul mio conto in relazione al video che ho diffuso: qualcuno diceva ‘E perché non ti fai mandare i soldi dai tuoi genitori?’, non è così semplice! I trasferimenti bancari internazionali erano bloccati e i voli arrivavano anche a 4000 euro. In più non erano voli diretti, ma dovevo passare per molte città come Dubai, Il Cairo e molte altre, chi mi avrebbe dato la garanzia che non sarei stato messo in quarantena da qualche parte del mondo? Inoltre, quando sono partito dall’Italia (dove era tornato tre giorni per problemi personali, ndr) nessuno aveva parlato di pericolo, anzi: dicevano che era solo una banale influenza stagionale. Quando alla fine sono riuscito a partire per la Serbia ho viaggiato da Kunming a Pechino, dove avevo prenotato una notte in un hotel in attesa di prendere l’aereo, ma sono stato respinto perché italiano e ho passato la notte per strada”.

Sei stato discriminato…

“Si, ma ti posso dire una cosa? Ce lo meritiamo. Il nostro Paese si merita di capire cosa significhi sentirsi rifiutato. E poi noi i cinesi li abbiamo trattati malissimo fin da subito: in Italia la psicosi è iniziata ben prima che arrivasse il Coronavirus, con gente che evitava i ristoranti cinesi e prendeva a botte gente con gli occhi a mandorla per strada. Ce lo meritiamo proprio.”

I cinesi che percezione hanno della gestione di questa emergenza qui in Italia?

“Disorganizzazione, grande disorganizzazione”.

Vorresti tornare nel tuo Paese?

“Io amo il mio Paese perché abbiamo un’eredità storica immensa, ma no, non tornerei. Qui ho la possibilità di entrare nel Teatro Nazionale Serbo, magari fra 5-7 anni tornerò in Cina, vorrei insegnare.”

Gabriele, ora che noi stiamo vivendo la stessa situazione, che consigli vuoi dare alle persone che leggono?

Stare a casa, prima di tutto. Se c’è bisogno di uscire, uscite solo per racimolare qualcosa al supermercato, ma non in quantità industriale. Bisogna avere rispetto degli altri. Ma adesso è tardi per qualsiasi consiglio, ci vuole senso civico”.

Le parole di Gabriele De Fazio sono parole di accusa nei confronti di un Paese che tuttavia in questi giorni ha ricevuto il plauso della Commissione Europea; dove la Presidente, Ursula Von Der Leyen, ha riconosciuto il coraggio e la resilienza del nostro Governo, che a detta del Presidente del Consiglio sta vivendo “la crisi più grave dal secondo Dopoguerra”. La Cina, dal suo canto, è una nazione piena di ombre: il regime autoritario ha reso più facile l’estinguersi dell’epidemia, ma a che prezzo? Noi italiani – noi europei -riusciremo a superare questa crisi senza instaurare uno stato di polizia? Il Covid-19 si propone come la sfida politica del nuovo millennio, in un mondo sempre più globalizzato ed iperconnesso.